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Primo maggio, cosa possiamo fare davvero contro le morti sul lavoro

Primo maggio, cosa possiamo fare davvero contro le morti sul lavoro

Il 2023 ha registrato tre morti bianche al giorno, ma sui media si parla quasi soltanto di singoli casi di cronaca: alcune proposte di legge, però, mirano a cambiare modello.

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Ogni 1º maggio, festa internazionale dei lavoratori, giornali, tv e gli altri mezzi di comunicazione si interrogano su come mettere a freno un fenomeno, quello delle morti sul lavoro, che miete ancora troppe vittime, anche in Italia. Secondo l’Inail, nel 2023 sono giunte complessivamente 041 denunce di incidenti mortali sul posto di lavoro, in aumento tendenziale al Sud e sulle Isole. Si tratta di una media di tre morti bianche al giorno.

Casi come quelli occorsi a Luana d’Orazio, la giovane operaia tessile di Prato deceduta sul lavoro tre anni fa, o quello toccato in sorte ad Anila Grishaj, vicedirettrice di impianto in un’azienda di surgelati trevigiana, accendono spesso i riflettori sulla situazione delle morti bianche in Italia, ma la loro attenzione spesso purtroppo si limita alla cronaca del singolo caso.

Che fare, allora, per cambiare le cose? La stessa madre di Luana d’Orazio, Emma Marrazzo, in seguito alle condanne in primo grado per il processo seguito alla morte della figlia, ha dichiarato che, a suo dire, bisognerebbe «cambiare la legge, perché quella attuale è ipocrita: invece servono pene più severe, con l'aggravante».

Cosa dice la legge italiana in merito alle morti sul lavoro? La normativa di riferimento è il Testo unico per la sicurezza sul lavoro (d. lgs. 81/2008), che si applica ex lege a tutte le aziende con almeno un dipendente, inclusi i tirocinanti, gli studenti dell’alternanza scuola lavoro, i volontari e gli apprendisti.

Il testo mira a portare l’azienda a occuparsi della formazione di sicurezza dei lavoratori, calcolando i rischi che si possono correre nel processo lavorativo, valutarli regolarmente (inserendoli nel Documento di valutazione dei rischi, o Dvr) e fissare controlli sanitari e strutturali per evitare tragici errori.

Errori che tuttavia, e purtroppo, continuano a verificarsi. Ma perché? C’è chi punta il ditosull’inadempienza delle istituzioni, intente a promulgare «modifiche legislative tendenti solo all’inasprimento delle pene e all’aumento delle sanzioni in termini numerici e non qualitativi», e altri osservatori specializzati, come Olympus dell’Università di Urbino, vedono nell’ultimo dl dedicato dall’esecutivo a questa emergenza, il decreto-legge dello scorso 2 marzo, un modo di «non affrontare il vero nodo della mancanza di prevenzione», sostituendolo con un po’ di repressione a buon mercato.

Il 30 aprile, mentre Emma Marrazzo consegnava al Senato le migliaia di firme raccolte per evitare tragedie come quella occorsa alla giovane figlia, il senatore del Movimento 5 Stelle Luca Pirondini ha presentato in Aula una proposta di legge che introduce il reato di “omicidio sul lavoro”.

Una proposta che, stando a ciò che dice Pirondini, «si basa sulla prevenzione», oltre a prevedere inasprimenti per i titolari delle aziende dove si verificano incidenti mortali. Pochi mesi prima la deputata Dem Chiara Braga aveva depositato alla Camera una misura simile, che prevedeva un reato a fattispecie colposa punito con una reclusione da 2 a 7 anni. La lettura di un’ampia parte politica – e di opinione pubblica – sembra definita: anche gli imprenditori devono pagare, e senza attenuanti, se è dimostrabile che non hanno agito mettendo in sicurezza e aggiornando le persone che compongono la loro forza lavoro.

Fonte: Esquire


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