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Tutti vogliono comprare vintage. Ma non c'entra l'etica o l'ambiente

Tutti vogliono comprare vintage. Ma non c'entra l'etica o l'ambiente

“Il vintage esiste da sempre, esiste sotto forma di boutique, di negozi gestiti da persone appassionate che scovano, acquistano e rivendono capi.

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Finora è stato un business ‘di nicchia’, ma qualcosa sta cambiando”: sono queste le parole di Dario Minutella, senior manager di Kearney, società di consulenza strategica presente in oltre 40 Paesi, che da poco ha condotto la prima grande ricerca mondiale sul mercato del vintage, con un focus particolare sull’Italia. “Quello che sta accadendo con applicazioni di successo come Vinted, la quale consente di vendere e scambiare capi di seconda mano, è che una nuova fetta di consumatori si sta interessando a questo settore. Si va, però, in cerca non del pezzo unico, del capo che col passare del tempo ha acquisito valore, ma dell’occasione. Della serie: l’anno scorso ho comprato quattro capi, li ho usati due volte, provo a metterli in vendita così mi rifaccio del 50% di quello che ho pagato. È una logica distante dall’idea ‘romantica’ di vintage. Ma non è per forza negativa: in questo modo, la moda diventa circolare”.

Ma da cosa è scatenato questo cambiamento? Perché le persone stanno intravedendo la possibilità di rimettere in circolazione abiti dismessi, valorizzando i più “preziosi” che avevano nell’armadio? Massimiliano Giornetti, direttore del Polimoda di Firenze ed ex direttore creativo della casa di moda Salvatore Ferragamo, spiega ad HuffPost quale trasformazione, innescata dalla pandemia, stiamo vivendo: “Con la pandemia ci siamo rimpossessati delle nostre case e ci siamo fatalmente accorti che i nostri armadi sono pieni di vestiti, spesso senza un valore intrinseco. Non attribuiamo più alla moda lo status di sogno, ma oggi rappresenta socialmente solo un desiderio frenetico di cambiamento costante. Un nuovo selfie e un post alla ricerca di un like. Allora la possibilità di dare al secondhand una nuova chance è diventato un business, in cui spesso però si confonde l’identità del ‘vintage’ rispetto all’usato”.

Fonte: Huffpost


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