ASCOLTA LA DIRETTA
La tragica solitudine della nostra vita virtuale

La tragica solitudine della nostra vita virtuale

Il digitale ci aveva offerto l’illusione di poter vivere anche senza comunicare dal vivo tra di noi, la realtà ci sta dimostrando che nessuno schermo potrà mai sostituire una stretta di mano

Condividi su:

Gli Stati Uniti hanno lanciato l’allarme, c’è un’epidemia di solitudine. Ad un primo impatto la notizia genera un certo sgomento, poi però riflettendo bene sui “segnali” che hanno condotto a questo annuncio non si rimane sorpresi, alcuni di questi sarebbero: l'intrattenimento continuo, l'automazione e i social media.

Se ci si ferma per trenta secondi a riflettere, è facile comprendere che l’epidemia non sia cominciata oggi. È da anni che siamo immersi in un imbuto trasparente, rinchiusi e coscienti di esserlo, osserviamo il mondo dalla finestra senza toccarlo con mano. La solitudine è un qualcosa di impercettibile, si può essere circondati di persone ed essere comunque soli, ciò trova riscontro ormai ovunque: in ufficio durante la pausa pranzo si può osservare come i colleghi siano chini sui loro smartphone alla ricerca dell’offerta last minute per andare ai Tropici o presi da attività di stalking che in confronto Sherlock Holmes è Geronimo Stilton. Fenomeni come questo non si esauriscono nella sfera lavorativa, infatti in treno le probabilità che il passeggero a fianco a voi perda la sua fermata perché troppo occupato dal terminare l’ultima stagione di “Breaking Bad" se una volta erano meno di zero ad oggi sfiorano quasi il 50%! Sono situazioni comiche viste dall’esterno, ma nel momento in cui ci rendiamo conto che quelli siamo noi, assumono una nota di tragicità. Siamo persino buffi e goffi nella nostra alienazione. Spesso capita di ridere di quei ragazzi che si scontrano sulla vetrina perché si stanno facendo una foto, poi quando siamo noi stessi a fare un frontale mentre camminiamo per strada con qualche malcapitato magari gli attribuiamo pure la colpa e ci incazziamo se qualcuno ride.

Di base siamo tragicamente ridicoli nella nostra incapacità di distinguere il reale dal virtuale, “tragico” è il termine corretto, perché questa nostra condizione ha delle connotazioni tragiche. Ciò che una volta era considerato normale oggi è fantasy: chiedere il numero di persona ad una ragazza è visto con sospetto, scambiare due parole con uno sconosciuto alla fermata dell’autobus è un qualcosa di anomalo, prendere l’iniziativa e presentarsi a qualcuno è un evento metafisico. Questa nostra tragica condizione spiega anche il perché molte persone si siano incattivite. Ho contato personalmente il numero di sorrisi che ricevo in una giornata, con due cambi di treno e la pausa fissa sempre al solito bar, riceverò in media uno/due sorrisi di sconosciuti, non di più. Le persone sembrano arrabbiate con il mondo ma forse sono sole. L'unica medicina che abbiamo per porre fine alla nostra solitudine, è l’empatia. Quest’ultima può essere esercitata ogni giorno attraverso piccole azioni: aprire la porta alla signora del piano di sopra, salutare quando vediamo qualcuno che conosciamo per strada senza tentare di mimetizzarci con la siepe, invitare qualcuno ad uscire (farlo dal vivo) e così via discorrendo. Forse dovremmo solo liberare dal nostro corpo ciò che ci contraddistingue in quanto animali sociali, l’umanità. Aristotele diceva che l’uomo è un animale sociale, nasce e muore in un contesto sociale e si nutre di socialità. Il digitale ci aveva offerto l’illusione di poter vivere anche senza comunicare dal vivo tra di noi, la realtà ci sta dimostrando che nessuno schermo potrà mai sostituire una stretta di mano.

Fonte: huffingtonpost.it


AMICI DI LOVE FM
Novità