
L'11 settembre A.J. aveva due anni. Oggi cerca giustizia per papà
Condividi su:«C’è una foto di papà con me nel passeggino. Io tengo in braccio questo pesce enorme, più grande di me. Lo aveva appena pescato e rideva perché avevo voluto prenderlo in mano a tutti i costi». Alfonse Niedermeyer, noto come “Big Al”, sarebbe morto un mese dopo quello scatto, quando A.J. aveva due anni e mezzo.
Era un agente di polizia della Port Authority, viveva a Manasquan, nel New Jersey, e l’11 settembre 2001 si sarebbe precipitato al World Trade Center per dare una mano a evacuare e soccorrere le vittime. Aveva 40 anni quando morì nel crollo della torre sud. «Non ho mai voluto chiedere troppo alla mamma, ho preferito mettere insieme i pezzi della sua storia crescendo — spiega oggi Alfonse Junior —. Vedevo che la mamma stava così attenta a far sì che la nostra casa e le nostre vite fossero piene di allegria, amore e gioia. Non volevo rattristarla».
C’è stata un’eccezione. Quando aveva 14 anni, A.J. chiese a sua madre di portalo a Guantanamo per assistere a un’udienza del processo nei confronti di Khalid Sheikh Mohammed e altri imputati accusati di aver orchestrato gli attacchi dell’11 settembre. «Non volevo vendetta, volevo capire — spiega il giovane, oggi un ricercatore alla Northwestern University di Chicago —. Per anni ho letto documenti sugli eventi che hanno portato a quel giorno e mi sembra che gli Stati Uniti avrebbero potuto fare così tanto per evitarli. Conoscevamo già al-Qaeda». La madre acconsentì e volarono insieme a Cuba. Per A.J., fu un momento di svolta. «Capii allora che non odiavo le persone che hanno compiuto quel gesto e che non avrei mai potuto odiarle —dice —. Volevo e voglio giustizia, ma questo comprende ritenere responsabili i sistemi che hanno sostenuto finanziariamente le persone che hanno orchestrato gli attacchi e che li hanno resi possibili. Detesto invece il modo in cui le storie di famiglie come la mia sono diventate parte di una narrazione strumentalizzata per interessi che non hanno nulla a che fare con noi».
Poco dopo il funerale di Alfonse, sua moglie Nancy aveva scoperto di essere incinta del loro secondo figlio. Era una bambina, e Nancy aveva scelto il nome Angelica, “messaggera di Dio”. Secondo nome: Joy, gioia. «Lo dico sempre ad Angelica — racconta A.J. —: è stata la cosa migliore che potesse succedere in quel momento. Ricordo la sua nascita: è stato un evento grandioso per la mamma e anche per me».
La famiglia ha continuato a vivere nella cittadina del New Jersey dove era conosciuta e aveva supporto. Ma A.J. trovava difficile parlare della sua storia. «A scuola mi sentivo etichettato, ero trattato in modo diverso. Crescendo, non lo dicevo alle persone che incontravo: non volevo la loro pietà». Intanto in cuor suo cercava di preservare il più possibile dei due anni e mezzo che passati con il padre. «Quando penso a papà trovo in me più una sensazione che un ricordo. Una sensazione calda e rassicurante. Mi sono sempre sentito fortunato rispetto a mia sorella, che non lo ha neanche conosciuto, ma in realtà ero così giovane e ci sono così tante cose che ho dimenticato per sempre». Per questo A.J. si è sempre rifiutato di partecipare alle commemorazioni per gli anniversari dell’11 settembre, perché la narrazione eroica che ruota attorno alla storia dei primi soccorritori interferisce con la sua perdita personale. «Volevo serbare un ricordo di mio padre, non della sua straordinaria grandezza», dice. Allo stesso modo gli è difficile digerire il modo in cui l’11 settembre viene sbandierato come motivo di patriottismo e di vendetta.
La tradizione di famiglia prevede invece che A.J., sua sorella e sua mamma visitino il memoriale di Ground Zero nel pomeriggio dell’11 settembre, quando le celebrazioni sono finite. Lì toccano il nome di Alfonse, inciso insieme a tanti altri sul parapetto di bronzo dove un tempo sorgeva la torre sud. «Mia mamma dice sempre che tutto accade per una ragione — dice Alfonse Junior —. Non capisco ancora quale sia la ragione della morte di mio padre, ma cerco di avere fiducia che un giorno lo capirò».