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Eppure molti sono più felici grazie alla pandemia

Eppure molti sono più felici grazie alla pandemia

Per molti di noi l’arrivo del vaccino è una luce in fondo al tunnel della pandemia.

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Al netto dei ritardi e delle criticità logistiche, le campagne di immunizzazione stanno rappresentando una speranza di uscita da una situazione di disagio psicologico ed economico che si protrae da oltre un anno. Ma Simon Kuper, columnist del Financial Times, ribatte che “mentre i vaccini promettono un ritorno alla vita normale, non siamo più sicuri di volerla”.

Durante quest’anno “al centro dell’attenzione ci sono state giustamente le persone che hanno sofferto... Ma c’è una verità nascosta che raramente si vuole guardare: molti di noi sono più felici grazie alla pandemia”, si legge sul FT. L’editorialista, infatti, continua citando i risultati del sondaggio annuale sulla felicità globale di Ipsos, che nel periodo tra lo scorso luglio e agosto ha intervistato 20 mila adulti in 27 paesi diversi: il 63% delle persone hanno detto di essere felici, solamente un punto percentuale in meno rispetto al 2019. Noi aggiungiamo i dati riguardanti l’Italia, che non rientra tra i Paesi più felici al mondo posizionandosi al 16esimo posto: nonostante ciò, rispetto all’anno precedente, il livello di felicità dei cittadini è aumentato.

L’articolo del FT prosegue passando in rassegna le categorie che potrebbero aver tratto ‘giovamento’ da questo anno sospeso, fatto di distanziamento e chiusure. “Pensate a tutti i dipendenti – scrive Kuper – che sono stati liberati da lavori e capi che odiavano e che ora sono pagati per restare a casa”.

E ancora: “La pausa potrebbe essersi rivelata un sollievo per tutti coloro che svolgono quelli che l’antropologo David Graeber chiama ‘bullshit jobs’ che non contribuiscono alla società in modo significativo: i ‘tirapiedi’ il quale compito è solo di far sentire gli altri importanti, o ‘scagnozzi’ dei call center che vendono prodotti inutili. Persone che, spiega Kuper, “sono state liberate dal compito di programmare la vita di altri”. Un capitolo viene riservato poi ai pendolari: da una parte ci sono quelli in smartworking, non più costretti a spostarsi, dall’altra quelli che continuano a recarsi a lavoro ma che “stanno traendo benefici dalle strade vuote e dai treni meno affollati”.

Fonte: huffingtonpost.it


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