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Anche i medici dovrebbero essere più empatici: “la parola può curare”

Anche i medici dovrebbero essere più empatici: “la parola può curare”

C’è in giro per il mondo un richiamo importante alla gentilezza ed empatia. Questo discorso vale soprattutto per quelle professioni che sono quotidianamente in contatto con la sofferenza.

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Una tra tutte è la professione medica. E’ importante che anche i medici coltivino la sacra arte della gentilezza decantando empatia ed attenzione al prossimo. E’ indispensabile che si adattino ed apprendano nuovi stili comunicativi adeguati all’incontro con il malato. Toni, gesti, comunicazione verbale sono una risorsa primaria che non dovrebbe mancare in una relazione medico-terapeutica.

Le parole, se non empatiche ed attente, possono essere pesanti come pietre soprattutto quando si tratta di malattie gravi. Con le giuste parole andiamo a toccare le giuste aree cerebrali e quindi questo ha un impatto importante sui pazienti.

Un buon medico dovrebbe elaborare le proprie rabbie, le proprie frustrazioni e difficoltà. Un buon medico dovrebbe, nella relazione di cura, sapere come esprimersi, cosa pronunciare e non pronunciare. Una regolare e preparata condotta relazionale prevede che il paziente che vive la malattia trovi le giuste risorse per affrontarla.

Un’equipe di scienziati ha osservato questo effetto dal vivo quando al malato viene comunicato qualcosa da parte di un medico. Abbiamo informazioni su tutto quello che può accadere nel cervello. Lo studio sperimentale è quello della Fondazione Giancarlo Quarta Onlus dell’Università di Udine con la Clinica Psichiatrica Asuius Santa Maria della Misericordia. Presentata recentemente a Milano, sono stati esplorati diversi stili comunicativi con relativa attivazioni cerebrali nei pazienti.

E’ stato infatti dimostrato che l’insieme delle gestualità e delle parole scelte dal medico produce effetti specifici nel malato.

Infatti una delle prime cose che il paziente vuole è capire, capire cose gli accade quando si trova catapultato nel macro-mondo sconosciuto della malattia. Vi è aggiunto anche il bisogno di sicurezza sul futuro ed il bisogno di essere capiti emotivamente. Questi pazienti hanno bisogno di essere ascoltati e valorizzati nella difficoltà del percorso che staranno per intraprendere.

Fonte: focus-psicologia.it


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