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'Volete mangiare? Spegnete il cellulare': la trattoria che ai social preferisce la conversazione

"Volete mangiare? Spegnete il cellulare": la trattoria che ai social preferisce la conversazione

Napoli: a La Buatta, nel quartiere Vomero, lo smartphone resta silenzioso e l'occhio cade sui particolari, tra barattoli di latta, lavagnette in ardesia e telefoni d’antan.

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L’ha chiamata trattoria di conversazione perché il piatto principale – in questo grazioso microcosmo incastonato nel quartiere del Vomero, a Napoli – è la parola. Così Angela Gargiulo non ha avuto dubbi: vade retro smartphone, qui bisogna guardarsi negli occhi e chiacchierare. Si chiama Buatta (letteralmente il barattolo, dalle francesi “boîtes”) il ristorante che chiede agli avventori di non restare muti e di lasciarsi trasportare dall’irresistibile parlantina della titolare, ceramista fino al 2011, poi riscopertasi cuoca appassionata.

“Volevo creare un locale che mettesse tutti a proprio agio, come se si fosse a casa. Così spesso mi siedo con i clienti per parlare di tutto: cucina, naturalmente, ma anche problemi e idee, progetti e soluzioni. Non sono una psicologa, per carità, e dal dialogo nascono cose belle per me e per loro. Si chiama condivisione”. L’ambiente è intimo e raccolto: quaranta coperti, prezzi modici, arredamento curato nei dettagli, un inno all’antiquariato (“Molti dei mobili erano del nonno”), colmo di barattoli di latta pieni di fiori colorati, con romantiche venature d’antan, a cominciare da un vecchio telefono a gettoni. In cucina, vince la tradizione: “Io ho sempre cucinato, anche se fino a sette anni fa facevo la ceramista. Ma la ceramica, qui, è morta e allora ho tradotto la mia passione in un lavoro: prima facevo a gara con le zie paterne, tutte molto brave ai fornelli, a chi facesse il piatto più buono. Ora cerco di convincere i miei clienti”. E qui è talmente casa che all’ora di pranzo nella “trattoria di conversazione” si siedono anche Maria Giulia, Sofia ed Eleonora, le tre figlie di Angela.

Quanto allo staff, è tutto femminile: nella locanda rosa lavorano infatti Vani e Sciamà, che arrivano dallo Sri Lanka, e Natalia, ucraina. Sorridono tutte e si danno una mano, i ruoli non sono troppo definiti. Il menu, sintetizzato sulle lavagne in ardesia, segue la stagionalità.

La chef ha creato con le sue mani l’insegna del locale. “All’inizio è stato quasi un gioco scrivere “trattoria di conversazione”.

Fonte: repubblica.it


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